The Stone

RADA, Autumn Productions 2009:
The Stone di Marius von Mayenburg
20-31 ottobre 2009
traduzione di Maja Zade

Regia di Jonathan Cullen
Design Coordinator Claire Auvache
Lighting Designer Joshua Carr
Sound Designer Tom Kingdon
Fight Director Bret Yount
Voice Coach Rebecca Carey

Cast
Witha Olivia Morgan
Wolfgang, suo marito James Norton
Heidrun, sua figlia  Rachel Spicer
Hannah, sua nipote Daisy-May Cooper
Mieze  Naomi Cranston
Stefanie Karen Cogan

I always say I can remember exactly where I was on that November day in 1989. I was in a play called Ghetto at the National Theatre and as we met to do a company warm up the actor Alex Jennings burst through the rehearsal room door holding champagne and gave the momentous news - "It's fallen! The Berlin Wall has fallen!" I usually add that he was in costume as an SS officer at the time, which lends a richly ironic twist; I'm pretty sure he can't really have been, though it improves the story.
We all make stories every day, stories we unconsciously embroider, edit, shape - in this sense we are all playwrights. And this process of fabulation is a central concern in Marius von Mayenburg's play - how the story reveals more about the teller's needs and wishes than they can recognise themselves.
This play was commissioned as a piece to mark the 60th anniversary of the partition of Germany into East and West in 1949. But it became clear to the writer that he could not start his story there, that it was necessary to trace that rupture back to its sources in the Germany of the 1930s, and also to carry it up to 1993, when the effects of reunification were becoming evident.
As he was working on the play he went to a couple of large family reunions and was struck by the selective omissions in the stories he heard - what he described as "the amazing vanishing Nazi" and the play began to fall into shape around its central theme, the idea of recent German history as a palimpsest. When Heidi describes the painting and repainting of the facade of the house which is a central character in the story, in a desperate battle to keep the walls clean and white, we realise that history can be, quite literally, a whitewash job. And until they can face the truth honestly, as Stephanie finally does, no-one in the play can change.
Jonathan Cullen

Dico sempre che posso ricordarmi esattamente dov'ero quel giorno di novembre del 1989. Lavoravo ad una commedia intitolata Ghetto al National Theatre, e quando ci riunimmo per una prova della compagnia, l'attore Alex Jennings si precipitò nella sala prove con una bottiglia di champagne e ci diede l'annuncio importante: "E' caduto! Il muro di Berlino è caduto!" Generalmente aggiungo che era in costume da ufficiale delle SS, cosa che aggiunge un tocco ironico alla storia, ma sono quasi sicuro che non era proprio così, anche se questo rende il racconto più interessante.
Tutti noi inventiamo storie ogni giorno, storie che inconsciamente ricamiamo, correggiamo, trasformiamo - in questo senso siamo tutti drammaturghi. E questo processo di affabulazione è una preoccupazione centrale nella commedia di Marius von Mayenburg: come la storia rivela i bisogni e i desideri di chi racconta più di quanto questi non possa rendersi conto.
La commedia fu commissionata per l'anniversario della separazione della Germania in Est e Ovest nel 1949, ma l'autore si rese presto conto che non poteva partire da quella data, che era necessario rintracciare la frattura dalle origini nella Germania degli anni 30 e proseguire fino al 1993, quando gli effetti della riunificazione divennero evidenti.
Mentre lavorava alla commedia, l'autore andò ad un paio di grandi riunioni familiari e fu colpito dalle omissioni selettive che ascoltò - quelle che descrisse come "il Nazista magicamente scomparso" - e la commedia cominciò a prendere forma intorno al suo tema centrale, l'idea della storia recente della Germania come palinsesto. Quando Heidi descrive il continuo ridipingere la facciata della casa, che è un personaggio centrale della storia, in una disperata battaglia per tenere i muri puliti e bianchi, ci rendiamo conto che la storia può diventare, letteralmente, un lavoro di ripulitura. E finché non riescono ad affrontare la realtà onestamente, come Stefanie fa alla fine, nessuno dei personaggi della commedia può cambiare.
Jonathan Cullen




(Programma dalla mia collezione)